mercoledì 23 gennaio 2008

"Quando Cristo entra nel cuore umano, vi porta con sé una duplice luce: la luce della coscienza che rivela i peccati del passato, e poi la luce della pace, la speranza della salvezza. La lanterna che Cristo porta nella mano sinistra è la luce della coscienza."

John Ruskin





Pittore "realista", impegnato in rappresentazioni naturalistiche,
William Holman Hunt dipinse Gesù in un orto al crepuscolo
che batte ad una porta ostruita dalle erbacce che vuole
suggerire la non disponibilità dell'anima umana ad accettare

il richiamo divino in un'epoca materialistica. La figura di Gesù
è dipinta secondo i moduli dell'arte rinascimentale, come un
essere umano idealizzato, non legato ad una precisa epoca storica.
L'immagine di Gesù come"luce del mondo" è priva di contenuto
dottrinale e quindi ha un fascino universale. Grazie alla produzione
su scala industriale di stampe di alta qualità nel XIX secolo, questa
riproduzione divenne, per l'emergente classe media, l'immagine
tutta personale di un Salvatore slegato dagli insegnamenti di chiese
particolari.

William Holman Hunt

La luce del mondo


"


Se avessimo ascoltato Ippocrate che già allora diceva ai suoi pazienti "Fa che il cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo"

La medicina ortomolecolare si riassume in tre punti: le buone molecole, in buona quantità, nel posto giusto.

Non basta quindi che una sostanza sia non-estranea all'organismo per essere benefica occorre ancora che sia fornita in quantità adeguata. Prendiamo come esempio il Litio, indispensabile in dose minima, diventa tossico in dose atta. Parallelamente allo sviluppo della medicina Eumetabolica di Hans Nieper, una corrente molto vicina a quest'ultima si è sviluppata negli Stati Uniti sotto l'impulso di Linus Pauling, premio Nobel per la chimica. In due parole: l'organismo biologico non può funzionare armonicamente se non riceve in quantità e in qualità alcune sostanze indispensabili al suo funzionamento. La nostra alimentazione ormai non risponde più a questi bisogni per più ragioni: carenza o eccesso dovuti a squilibri alimentari, ma anche denaturazione degli elementi essenziali da additivi. Gli stress permanenti della nostra vita moderna implicano una perdita importante dei minerali essenziali, come il Magnesio, per esempio o il Selenio, due elementi indispensabili per esempio nell'immunità anti-cancro, e non disponibili in quantità sufficiente per via dei concimi chimici:usati nell'agricoltura. La medicina ortomolecolare si applica quindi per determinare la relazione esistente tra l'apparizione di tale o tale malattia e la presenza una quantità anomala (sia per eccesso sia per difetto)di queste sostanze essenziali. Ritorniamo per esempio al Magnesio. E' chiaro che emozioni e stress ripetuti causano una fuga importante di questo minerale la cui carenza si traduce con disordini vissuti molto male come la fatica, il disorientamento, la perdita di memoria, crampi e formicolii alle estremità, stati depressivi, etc... Occorre però distinguere due tipi di disordini L'emotività che causa perdite di Magnesio e gli altri disordini che ne sono la conseguenza. Bisognerebbe quindi ridurre l'emotività eccessiva con, per esempio, una terapia emozionale(Floriterapia di Bach per esempio)La medicina moderna si interessa troppo poco della prevenzione delle malattie, soluzione forse meno costosa e più razionale di qualsiasi cura. E' importante ricordare che una malattia evolve spesso in 15 o 20 anni in sordina, prima di dichiararsi. Un paziente che non prova sintomi che lo disturbino netta sua attività è già ammalato senza saperlo. Questo processo si ritrova sia nel cancro che nell'arteriosclerosi o nell'artrosi, e sono solo esempi. Disponiamo oggi di prove tangibili per capire che un'alimentazione carente di certi elementi gioca un ruolo essenziale nello sviluppo di determinate malattie. Abbiamo aspettato forse troppo. Se avessimo ascoltato Ippocrate che già allora diceva ai suoi pazienti "Fa che il cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo": Catherine KOUSMINE ne ha fatto il punto forte della sua terapeutica. Anche se occorrono tempo e pazienza per colmare una carenza, vale la pena di provare.

Josiane Marchand

La macrobiotica

1.14 – G. Ohsawa (.htm)

Abbiamo posto G. Ohsawa come ultimo di una serie di filosofi che va dai presocratici a Nietzsche, ma non abbiamo l’intenzione di esaminare il suo pensiero nell’ottica dei precedenti.

Questi sono stati visti come occasione per trarre dal loro pensiero intuizioni fondamentali che potevano essere utilizzate per proporre una visione del mondo tale da costituire la base teorica per un modo diverso di vivere.

Non ci comporteremo in questo modo in rapporto al pensiero di Ohsawa perché egli non ha preteso di inventare o scoprire nulla e, in questo senso, rappresenta un punto di riferimento per tutti noi: di filosofie ne sono state proposte già anche troppe, tanto da creare disorientamento e imbarazzo in chi non ha ancora raggiunto quella maturazione interiore che, sola, permette di intuire tra le tante direzioni già tentate quella che fa al caso nostro.

Georges Ohsawa è il nome che Nyoiti Sakurazawa, giapponese nato a Kyoto nel 1893, ha scelto quando ha deciso di proporre alla cultura occidentale la propria esperienza personale di recupero di un sapere antichissimo, grazie al quale egli aveva raggiunto uno stato di salute e di energia invidiabili quando la medicina occidentale, a cui la sua famiglia aveva dato fiducia, aveva diagnosticato il suo caso come irrecuperabile. Egli ha viaggiato molto, fondando scuole e centri di macrobiotica nell’America settentrionale e in Europa, dove ha scelto la Francia come paese elettivo nel quale ha soggiornato più a lungo.

Ha scritto molti libri, la maggior parte in giapponese, poi anche in inglese e francese; non poche delle sue opere sono state tradotte in diverse lingue.

Il primo libro ad essere pubblicato in Europa è stato, presso l’editore francese J. Vrin nel 1931, Le Pincipe Unique de la Science et de la Philosophie d’Extreme Orient; poi tradotto in Italiano con il titolo Introduzione alla scienza della macrobiotica (Arcana Editrice).

Le opere a noi più accessibili sono in francese e sono state per la maggior parte pubblicate presso la Libreria Filosofica J. Vrin.

Citiamo i principali:

Le Livre des fleurs (1931)

Le Livre du Judo (1942)

La Philosophie de la Médecine de l’Extreme-Orient (1956) poi tradotto in italiano con il titolo La macrobiotica e la sua filosofia (Arcana Editrice)

Jack et Mitie dans la jungle dite “Civilisation” (1958)

L’Ere atomique et la Philosophie d’Etreme-Orient (1962)

Le Cancer et la Philosophie de l’Extreme-Orient (1962)

Le Zen Macrobiotique (1966) E’ stato il primo libro di Ohsawa tradotto in italiano con il titolo La dieta macrobiotica (Astrolabio Editore 1968)

L’Acupuncture et la Médecine de l’Extreme-Orient (1969) Tradotto in italiano con il titolo L’agopuntura e la medicina macrobiotica (Arcana Editrice)

4.000 ans d’Histoire de la Chine (1969)

Le Livre de la vie Macrobiotique (1970)

Nelle sue opere Ohsawa verifica l’efficacia dei millenari principi della filosofia dell’estremo oriente come criteri validi ancora oggi per scoprire, in tutti i fenomeni della realtà per noi percepibile, la manifestazione del Principio Unico, che noi abbiamo individuato nell’Essere è di Parmenide. Principio unico che si esprime nella eterna dinamica dei principi opposti-complementari, che abbiamo fatto emergere nella provocatoria dialettica dei contrari di Eraclito. Così come, in Pitagora, abbiamo colto meglio che non in altri filosofi occidentali la compresenza delle due dimensioni, inconciliabili per la logica comune ma perfettamente coesistenti nella metalogica esoterica, dell’Uno-Due: compresenza che, nel Tre, recupera l’eterna realtà dell’Essere disvelatasi come l’infinita radice della Realtà che diviene.

Ciò che fa di Ohsawa una persona come noi e, per ciò stesso, ci permette di coglierne il potente stimolo ad una crescita personale, è la ricerca continua di una conciliazione di questa saggezza antica con gli sviluppi più recenti della scienza, tanto da recuperare in pieno l’affermazione esoterica secondo cui la verità è una sola e a questa convergono, su percorsi diversi, sia la filosofia che la religione e la scienza. In questo senso conferma la nostra certezza di sempre che la filosofia e la religione che temono lo sviluppo della ricerca scientifica sono completamente fuori strada e rivelano di essersi ridotte a difese di interessi costituiti, difese che il tempo progressivamente rende sempre più obsolete. In questi ultimi secoli, nella cultura occidentale, la scienza è stata l’area di ricerca che più efficacemente ha percorso la strada della indagine slegata dagli interessi precostituiti, progressivamente demolendo le incrostazioni che secolari ortodossie avevano sedimentato sia in campo cattolico che protestante. In realtà, anche nell’ambito scientifico si è manifestata l’umana tendenza alla cristallizzazione di livelli di verità precedentemente raggiunti che mal sopportano di essere rimessi in discussione, ma la scienza ha oggi raggiunto la “massa critica” per cui, nonostante gli interessi economici imperanti, essa può contare su una crescita che non conosce soste nè conquiste definitive.

In questo senso riteniamo che il modo migliore per cogliere l’importanza di Ohsawa come filosofo e ricercatore della verità sia quella di riportare tale e quale la sintesi dei criteri che devono ispirare la ricerca che ognuno di noi deve compiere; sintesi che egli ha ereditato da una saggezza antica per la quale sarebbe quanto meno discutibile tentare di individuare tempo e luogo di origine.

Questa sintesi si trova nei testi di Ohsawa e viene riportata da molti libri e riviste che parlano di macrobiotica e può essere utilmente suddivisa in tre “momenti”.

Sottolineiamo, ancora una volta, che da questa sintesi possiamo trarre tutti gli strumenti per ripensare la nostra vita e farla diventare una progressiva, esaltante crescita di consapevolezza.

- I principi dell’ordine dell’universo -

1- Tutto cambia e ciò che inizia finisce.

2- Non vi è dritto senza rovescio.

3- Nulla è assolutamente identico a qualcos’altro.

4- Quanto è più grande è il dritto, tanto più grande è il rovescio.

5- Il mutamento non è altro che la differenziazione o l’integrazione dei due fattori antagonisti e complementari: yin e yang: la stabilità è un equilibrio dinamico.

6- L’infinito-assoluto-eterno si polarizza in yin e yang.

7- L’infinito-assoluto-eterno è il motore immobile di tutto ciò che cambia, della incessante trasformazione di yin in yang e di yang in yin: da ciò ne consegue che ogni cosa è una differenziazione dell’Infinito-Uno.

Ohsawa precisa: le sei prime leggi (da 1 a 6) sono leggi del mondo della relatività, mentre la settima è la legge dell’universo intero, ivi compreso questo mondo relativo che è solo un punto geometrico dell’universo-infinito-assoluto-eterno.

- Le dodici leggi del cambiamento del principio unico -

1- L’infinito Uno comprende in sè yin e yang.

2- Yin e yang esprimono in modo antagonista e complementare l’infinita forza dell’Uno.

3- Yin manifesta la forza centrifuga; yang manifesta la forza centripeta. Yin e yang combinate in infinite proporzioni variabili producono l’energia e tutti i fenomeni.

4- Yin attrae yang e yang attrae yin.

5- Yin respinge yin e yang respinge yang.

6- La forza di attrazione è proporzionale alla differenza tra le componenti yin e yang.

La forza di repulsione è inversamente proporzionale alla differenza tra le componenti yin e yang.

7- Tutti i fenomeni sono effimeri perchè mutano costantemente le forze yin o yang che li costituiscono; yin e yang, infatti, sono in continuo divenire e, comunque, tendono a trasformarsi nel loro opposto.

8- Niente è solamente yin o solamente yang. Ogni cosa è composta dall’insieme di queste forze il cui equilibrio dinamico è in continuo mutamento.

9- Non esiste nulla che sia neutro. In qualsiasi realtà esiste sempre un predominio di yin o di yang.

10- Il grande yin attrae il piccolo yin. Il grande yang attrae il piccolo yang.

11- Lo yin estremo produce yang. Lo yang estremo produce yin.

12- Tutti gli oggetti e le forme fisiche sono yang al centro e yin alla superficie.

- Esempi di distinzioni yin e yang sul piano concreto -

Yin Yang

Forza centrifuga Forza centripeta

Agricoltura Verdura Cereali

Ambiente Vibrazioni...Aria...Acqua Terra

Aspetto Più esteso, fragile Più compatto, duro

Atteggiamento Più gentile, negativo Più attivo e aggressivo, positivo

Attività Più psicologica e mentale Più fisica e sociale

Biologia Regno vegetale Regno animale

Predominanza caratteristiche vegetali Predominanza caratteristiche animali

Catalizzatore Acqua Fuoco

Combustibile Gas, Benzina Legna, Carbone

Colore Violetto Rosso

Consistenza Molle Dura

Cottura dei cibi Microonde, Elettricità Gas, Legna

Densità Diluita Concentrata

Dimensioni Spazio Tempo

Direzione Ascendente, verticale Discendente, orizzontale

Durata nel tempo Effimero Durevole, Stabile

Effetti climatici Clima tropicale Clima freddo

Elementi K, O, P, Ca, N... H, C, Na, As, Mg, Cl...

Forma Allungata Corta

Funzione Decomposizione Organizzazione

Diffusione Fusione

Dispersione Assimilazione

Separazione Riunione

Influenza stagionale Estate Inverno

Lavoro Mentale Fisico

Luminosità Più oscura, Buio Più brillante, Luce

Movimento Lento, scarsamente attivo Veloce, molto attivo

Nervi Maggiormente periferici Maggiormente centrali

Ortosimpatico Parasimpatico

Particella atomica Elettrone Protone

Pentole Alluminio Acciaio

Peso Leggero Pesante

Posizione Esterna e periferica Interna e centrale

Regione d’origine Tropicale Fredda

Sapore Piccante, Acido, Dolce Salato, Amaro

Sesso Femminile Maschile

Stagioni Inverno Estate

Struttura Spazio Tempo

Struttura degli organi Maggiormente cavi ed estesi Maggiormente pieni e compatti

Taglia Grande Piccola

Temperatura Più fredda Più calda

Tendenza Espansione Contrazione

Umidità Più umida Più secca

Vibrazione Onde corte, Alta frequenza Onde lunghe, Bassa frequenza

Vitamine C K, D

- Note conclusive -

Gli esempi concreti su citati vanno comunque sempre interpretati in chiave dialettica.

Per esempio, il gas è un combustibile yin rispetto alla legna ma, come fonte di calore disponibile nelle nostre cucine, è pur sempre molto meno yin (quindi più yang) rispetto alle microonde o alla elettricità.

Consideriamo il neonato e il vecchio:

- Dal punto di vista dello sviluppo fisico e spaziale, il neonato è yang (dimensioni ridotte ed energia vitale concentrata); il vecchio è yin (dimensioni fisiche estese ed energia vitale ormai già realizzata)

- Dal punto di vista mentale e della consapevolezza il neonato è yin (il nucleo di coscienza è aperto, pronto a nuove esperienze che innescheranno un processo di crescita); il vecchio è yang (nucleo di coscienza ormai strutturato e consolidato tanto che, alla morte, sarà il seme da cui si svilupperà un nuovo germoglio di coscienza che rappresenterà l’inizio di un processo di ulteriore crescita)

L’effetto del tempo

L’energia del tempo si inserisce nei processi in atto potenziandoli.

Il formaggio, ad esempio, è un prodotto yang che con il tempo diventa più stagionato, e quindi si yanghizza ulteriormente.

Il mosto, ad esempio, con il tempo sviluppa la fermentazione, che è un processo di yinizzazione, per cui diventa vino e, sempre con il tempo, spinge ulteriormente il processo di yinizzazione diventando aceto. Se invece l’energia del tempo viene applicata al vino imbottigliato, cioè posto in una situazione yang perchè si inibisce l’azione dell’ossigeno che ha azione yinizzante, il vino diventa più yang, acquistando le caratteristiche organolettiche del vino invecchiato.

L’effetto della frutta

La frutta è yin ma i suoi effetti saranno diversi in un bambino e in un vecchio.

In un bambino l’effetto yinizzante della frutta si inserirà potenziando e favorendo il naturale processo di crescita del corpo, se mangiata in quantità corretta. In un vecchio l’effetto yinizzante della stessa quantità di frutta in rapporto al peso corporeo andrà ad inserirsi, con la sua forza di espansione, in un processo di disaggregazione e dissoluzione che ha già raggiunto un livello molto alto per cui accelererà i processi di deterioramento fisico. Sempre nel caso del vecchio, una moderata quantità di frutta potrà, invece, essere preziosa in casi particolari, per esempio dopo una giornata di lavoro sotto il sole estivo. In condizioni normali la persona anziana trarrà maggiore giovamento da una componente yin più dolce e moderata come la verdura che, durante la stagione fredda, dovrà essere sempre ancora yanghizzata con la cottura.

Così, un eccesso di yin, nel bambino, porterà alla passività e alla dipendenza.

Esempio concreto: Troppa condiscendenza nei confronti delle richieste del bambino porterà allo sviluppo di una personalità viziata ed esigente fino allo sviluppo di un comportamento aggressivo, ma questa aggressività non avrà le caratteristiche dello yang (l’aggressività che nasce dalle privazioni e dall’ira accumulata) ma sarà la tipica aggressività della persona viziata che non ha mai dovuto affrontare difficoltà vere e che, al primo scontro con una autorità forte, si piegherà senza avere la forza di reagire in modo efficace.

Difficoltà e privazioni (che sono fattori yin) se contenuti in un limite corretto, che va valutato caso per caso nei singoli individui, sviluppano invece nel bambino un carattere yang, più volitivo e tenace; se invece superano la soglia che il singolo può sopportare portano, all’opposto, alla formazione di una personalità sfiduciata, debole e remissiva.

Nel caso di una persona anziana le difficoltà e le privazioni, se si supera la soglia sopportabile dal soggetto, vanno ad appesantire l’effetto fisico yin dell’invecchiamento, per cui può venire meno la voglia di vivere. Questa prospettiva, che nella nostra cultura viene normalmente vista in termini negativi, si capovolge in termini dialettici grazie alla visione filosofico-religiosa su cui la macrobiotica si fonda, dal momento che la morte è contemporaneamente fine di un processo di apprendimento e inizio di un nuovo ciclo, che avrà come base di partenza i risultati raggiunti nella vita che si conclude.

Le tappe del processo di individuazione

L’inconscio amico: L’immaginazione attiva

INTRODUZIONE

La psicologia analitica di C.G. Jung è forse il tentativo più riuscito all’interno della nostra cultura occidentale di pervenire ad una visione “olistica” dell’essere umano come interezza.

Se infatti lo sforzo di “guarigione dell’essere umano è sempre stato improntato alla risoluzione dei conflitti, all’eliminazione degli agenti patogeni e interferenti, e al ristabilimento dell’equilibrio, tale equilibrio riconquistato non può prescindere dal continuo confronto con tutto ciò che attiene all’individuo nella sua completezza, intendendo con questo il mondo esterno e quello interno, il razionale e l’emozionale, la coscienza e l’inconscio.

Già la psicoanalisi freudiana aveva trattato l’inconscio come il luogo di tutto ciò che non raggiunge, non raggiunge più o non raggiungerà la coscienza, il luogo-non luogo dove tutte le pulsioni si formano e dove si fonda ogni nostro agire.

Esso invade il nostro spazio in molteplici situazioni, e si rende palese, pur in forma simbolica nei sogni, nei deliri, negli atti mancati, nelle libere associazioni..

Ma se il nostro inconscio individuale contiene tutti i contenuti personali legati alle esperienze di base e alle pulsioni fondamentali (libido, autoconservazione, aggressività) che appunto, non raggiungono la soglia del cosciente, è pur vero che noi tutti, come razza umana, possediamo un bagaglio simile di tali esperienze e contenuti profondi, dato dal fatto che, come specie, condividiamo lo stesso destino.

Ogni essere umano prima di noi ha conosciuto le esperienze primarie: nascita, morte, femminile, maschile, buio, luce, caldo freddo, costrutti arcaici che si declinano nella dialettica degli opposti e che hanno costellato, costellano e costelleranno il nostro vissuto comune

Jung chiama questi costrutti ARCHETIPI, e il luogo dove essi sono depositati all’interno della psiche INCONSCIO COLLETTIVO.

Si tratta di rappresentazioni collettive, o meglio possibilità innate di rappresentazione, quelle immagini cioè che la nostra mente forma automaticamente in risposta alle reazioni istintuali innate, comuni a tutto il genere umano.

L’archetipo NON E’ un immagine trasmessa in modo ereditario, ma si manifesta come “possibilità di immagine”, e sotto forma di SIMBOLI e MITI i quali, oltre a rappresentare l’espressione della cultura umana fin dai primordi, sono contenuti all’interno dell’inconscio collettivo come punti di aggregazione e di energia, e come costrutti psichici inconsci nel vissuto profondo di ciascuno.

In quest’ottica, il processo di crescita dell’individuo, chiamato da Jung processo di individuazione è da considerarsi come un percorso che, partendo dal momento della nascita, in cui l’individuo viene a contatto con la realtà esterna e si comincia a formare la persona, giunge fino alla realizzazione del sé,

cioè al momento in cui tutti i contenuti consci, inconsci e archetipici si fondano nell’unicità più intima dell’individuo.

Le tappe del processo di individuazione

La realizzazione del sé è un obiettivo difficile, al quale gli esseri umani giungono attraverso tappe di avvicinamento a volte molto dolorose

La prima tappa individuata da Jung è l’incontro con l’OMBRA, la nostra parte oscura, quella che per ragioni morali, etiche o razionali rifiutiamo, perché ritenuti socialmente inaccettabili e che vengono rese visibili dalle emozioni.
Ma accanto all’ombra personale c’è quella collettiva, il lato oscuro dello Zeitgeist, ciò che si oppone all’evolversi del mondo in quel momento.

Solo venendo a contatto con la propria ombra, attribuendovi quindi dignità di esistenza e riconoscendola come parte di noi stessi, possiamo abbandonare le proiezioni e ricostruire la nostra identità che comprende anche la parte oscura di noi.

La seconda tappa riguarda invece la coppia di opposti maschile-femminile. Dal punto di vista archetipico questi opposti si definiscono ANIMUS (maschile) e ANIMA (femminile).

Ognuno di noi porta dentro di sé il corrispettivo archetipico inconscio dell’altro sesso, che, come per l’OMBRA, deve venir conosciuto ed accettato come parte integrante dell’individuo per percorrere il cammino dell’individuazione del sé. L’anima e l’animus si manifestano apertamente come contenuti simbolici/inconsci all’interno dei sogni e nelle emozioni che proviamo. Ognuno di noi ha l’esperienza infatti di aver provato emozioni che vengono normalmente attribuite al sesso opposto, e di averle così catalogate e respinte, come non congruenti all’interno della PERSONA.

Non dimentichiamoci che per Jung il termine persona assume il significato proprio della mitologia greca, è cioè la maschera dietro la quale si nasconde l’attore che recita, la somma dei ruoli che ci attribuiamo e che gli altri ci attribuiscono.

L’INDIVIDUO invece, rappresenta ciò che sta dietro alla persona, la vera essenza che contiene quindi anche quei contenuti archetipici, inconsci e dissonanti con il ruolo svolto, che fanno parte integrante del proprio sé, e che devono essere appunto incontrati, riconosciuti e accettati per permettere la propria individuazione.

La tappa successiva è l’incontro con l’archetipo del VECCHIO SAGGIO.

Tale archetipo rappresenta per l’uomo il mito dell’eroe, del saggio appunto, nella donna quello della Grande Madre. Si tratta di figure che similarmente ai due principi Yin e Yang come principio femminile e maschile primordiale, anima e animus, somigliano ai due simboli dell’I CHING: il creativo e il ricettivo, rappresentano la personificazione in termini spirituali dei principi maschili e femminili nella loro perfezione.

L’uomo forte è infatti l’eroe, che a tutto da forma, la grande madre è invece la sovrana ,universale, pietosa e magnanima, ambedue hanno scoperto la verità.

Il confronto con questa figura archetipica è particolarmente difficile, perché l’incontro con esso, e la sua accettazione all’interno del percorso individuale, può portare a megalomania e presunzione. L’incontro con il vecchio saggio, dopo aver preso coscienza della sua esistenza come costrutto psichico e conoscenza dei suoi contenuti, si deve risolvere nel passo successivo, che è quello della DISINTEGRAZIONE di tale immagine, una volta inglobata, e il ritorno verso sé stessi in quanto esseri viventi, che, presa coscienza del principio assoluto, hanno anche coscienza di non incarnarlo.

In questo modo il maschio si libera dell’immagine del padre e la donna di quella della madre e per la prima volta si comincia a sperimentare il carattere unico della propria individualità

L’ultima immagine archetipica è quella del SE’.

Giunti all’immagine del sé sono stati compiuti i passi che hanno integrato fra loro concio e inconscio, in un centro di unicità psichica, il SE’ appunto.

E’ il punto di equilibrio, lo scopo dell’intera esistenza, perché permette all’individuo di risolvere finalmente il conflitto fra la duplicità delle realtà che lo caratterizza, il conscio e l’inconscio, l’interno e l’esterno, realizzando quello che Jung chiama l’UNITA’ DEGLI OPPOSTI, l’unione di Yin e Yang, l’uomo ROTONDO.

Il simbolismo dei Chakra

Jung è stato fortemente influenzato nel suo pensiero dalle filosofie orientali con le quali ha trovato innumerevoli punti di contatto e di integrazione all’interno della sua visione del mondo.

La procedura di individuazione ha infatti caratteri di universalità, così come universali sono i simboli utilizzati per seguire tale percorso, egli individua anzi la presenza universale di un istinto di individuazione che riguarda ogni forma di vita, che per diventare tale si manifesta attraverso una differenziazione.

Jung si serve dell’antico simbolismo dei Chakra per trovare una sistematizzazione dell’esperienza di passaggio della materia in esperienza astratta che ha caratterizzato l’essere umano in migliaia di anni, e ha sviluppato una mappa delle regioni archetipiche corrispondenti ai sette chakra della simbologia orientale, mettendo in relazione la dimensione ascendente del percorso di individuazione psichica al movimento di Kundalini, il serpente energia che attraversa i sei Chakra per arrivare poi a Sahasrara, il settimo Chakra che è fuori del nostro corpo e rappresenta l’unione di Shakti e Shiva della filosofia tantrica e ci mette in contatto con il trascendente.

Il viaggio di Kundalini

MULADHARA. Il primo chakra è la terra, la radice delle cose, il fondamento del mondo

Questo è il luogo energetico in cui l’essere umano è istinto, non consapevolezza. Qui incontriamo Kundalini, che ci guida verso i chakra successivi, che ci spinge avanti anche di fronte alle difficoltà, che dal punto di vista psicologico, ci porta a d affrontare al vita. Dal punto di vista del simbolismo evolutivo siamo nel luogo in cui la vita è fisicità, un germe, una condizione iniziale, ma è anche la fonte dell’energia psichica che spinge a vivere.

Il suo colore è rosso, quello del sangue, della passione oscura e terrena. Qui vive Shakti, una delle due divinità che si uniranno nel settimo chakra.

SVAADHISTHANA. Il secondo chakra è il luogo energetico in cui ci tuffiamo nel flusso, galleggiamo. Ha tutte le caratteristiche dell’inconscio ed è acqua. Simbolicamente è il mare, la femminilità, l’inghiottimento, un passaggio di morte simbolica che porta ad una nuova vita, nel processo di immergersi e riaffiorare.

E’ l’analisi, che ci porta nell’abisso dell’inconscio, dove possiamo incontrare un enorme mostro e da quella prova trovare fonte di rigenerazione. E’ le nostre pulsioni sessuali. il fattore nel quale ci perdiamo ma che contemporaneamente possiede una grande forza di attivazione e di superamento.

Il colore di questo chakra è l’arancio, una sfumatura più chiara del rosso terreno del primo chakra e che poi ci condurrà al giallo di Manipura

MANIPURA. Il terzo chakra è il centro energetico in cui la materia è digerita e trasformata. E’ la passione emozionale, non più solo materiale ma emozionale, quella che ci fa dire che stiamo “agendo di pancia” la sua posizione è infatti l’addome. Rappresenta dal punto di vista psichico l’agire delle emozioni, il potere.

Il suo colore è il giallo, che rappresenta la combustione del sole, è l’inferno delle emozioni e delle passioni che ci possono rendere ciechi. Finchè siamo in Manipura siamo nel fuoco della terra, del desiderio dell’illusione, ma anche della realizzazione spinta dal fuoco che ha risvegliato le emozioni, e che conduce verso Anahata

ANAHATA. Il quarto chakra è il centro, il cuore, l’aria. Il percorso di individuazione arriva al quarto chakra dopo essere passato dal caos dei tre precedenti, iniziamo a pensare e diventare coscienti, creiamo delle sequenze dei nostri impulsi e ci poniamo delle domande sulle nostre emozioni. Qui si compie il processo di identificazione psicologica, inizia l’individuo, si distacca e prende coscienza della sua esistenza. Qui c’è il mondo dell’intangibile: sentimenti, mente, qui la mente si unisce all’immaginazione, ui si comincia ad amare.

Il suo colore è il verde. L’aria di Anahata possiede le caratteristiche dell’anima, quella che sente con il cuore e coglie la natura delle cose, e sono stati raggiunti tutti gli elementi che necessitano alla sopravvivenza psichica (terra, acqua, fuoco, aria)

VISHUDDHA. Il quinto chakra rappresenta un altro stadio del nostro viaggio, il pensiero astratto, la sublimazione dell’uomo, la trasformazione della materia grossolana in quella sottile.

Qui si compie la percezione dell’altro come empatia e tutto diventa un’esperienza psichica personale, si compie l’astrazione, la rappresentazione psichica. Il suo colore è il blu, ed è qui che prendiamo coscienza che la nostra rappresentazione del mondo contiene tutte le immagini archetipiche maturate dalla razza umana, ci identifichiamo e comprendiamo profondamente il mondo.

AJINA. Il sesto chakra rappresenta il fattore psichico più completo, quello che ci fa comprendere che non esiste nulla che non sia anche in noi. E’ un raggio di luce catturato, è libertà, è la tensione degli opposti compresa e domata. Il suo colore è l’indaco,è la visione interiore e extrasensoriale, la sintesi, è espressione completa del non ego, qui si è parola, verbo, luce. Qui il fattore psichico raggiunge la più alta consapevolezza e si realizza la fusione del conscio con l’inconscio.

In SAHASRARA infine, il settimo chakra, avviene l’unione di Shakti e Shiva, gli opposti si uniscono e si realizza il viaggio di kundalini.

Non c’è più nulla, nemmeno Dio, solo il Nirvana.

Jung pensa che il settimo chakra non possa essere oggetto di essere raccontato, ed è inutilizzabile, per lo meno per l’uomo occidentale in quanto non si dà immagine ma è pura trascendenza.

L’attivazione di Kundalini dal punto di vista psicologico passa attraverso il meccanismo terapeutico della consapevolezza e autonomia dell’inconscio, quel percorso analitico che permette di ammettere che qualcosa si sta muovendo nella mente indipendentemente dalla volontà.

Jung individua quindi due tempi nella pratica terapeutica: un primo momento in cui si attivano gli aspetti personali, si sciolgono le resistenze, si superano le impurità, un secondo momento che rappresenta l’attivazione propriamente detta della kundalini e il suo accompagnamneto attraverso il percorso simbolico dei chakra verso la piena realizzazione del sé.

L’immaginazione attiva

Uno dei metodi per perseguire la strada dell’individuazione è quello dell’immaginazione attiva.

Si tratta di forza immaginativa”, quella capacità di immaginazione diurna, che provoca attivamente l’apparizione di immagini, una discesa cosciente nella profondità dell’inconscio che viene così integrato alla coscienza.

Il metodo consiste in una sorta di introspezione, cioè osservazione del flusso delle immagini interne, senza che venga imposto alcun tema.

Si comincia fissando l’attenzione su di un’immagine che giunge spontanea, e si continua osservando le trasformazioni che questa immagina subisce, come si arricchisce di dettagli, si sviluppa e si evolve. Nel far questo, è necessario un abbassamento del livello di coscienza, uno “stato alterato” di essa che permette l’accesso dei contenuti inconsci, ma nello stesso tempo un controllo della coscienza in stato di veglia (cosa che manca nel sogno) sui contenuti inconsci, controllo vigile ma non rigido, che permette così l’interazione e integrazione per gradi sempre più elevati delle due istanze psichiche.

Regola principale è l’eliminazione di ogni critica o censura, e la disposizione mentale a considerare, nel qui e ora, l’immagine prodotta come realtà.

L’esperienza personale su questa tecnica ha permesso a Jung di superare turbamenti e difficoltà legati alla sua storia personale e a trascendere l’ambito tradizionale terapeutico legato al concetto di “guarigione” tout court.

La tradizionale impostazione terapeutica è infatti fortemente assogetata al “senso di realtà”. Ma cosa accade dopo la guarigione? Che posto anno i sogni, le immagini, il lavoro analitico fatto con i contenuti dell’inconscio, se si resta in una ambito in cui tali contenuti devono venir assoggettati alla realtà razionale per essere controllati e liberati dai loro impulsi patogeni?

L’idea rivoluzionaria è quella di una psicoterapia che non si esaurisce nella “guarigione” ma che porta ad un percorso di “visione” dell’inconscio, ad un’integrazione di esso, con tutto il suo bagaglio immaginifico e prolifico, nell’armonia della personalità.

Se l’analisi ha ben filtrato la storia personale, il secondo momento è quello del confronto con la dimensione archetipica che resta ben ancorata all’interno dell’umanità di ciascuno di noi.

Questo atteggiamento immaginativo può essere paragonato al sogno ad occhi aperti, maturato però in un dialogo interno sulla cui base conscio e inconscio concorrono insieme, non più nemici ma alleati e parte dello stesso contesto, ed affrontano INSIEME la vita.

Scopo dell’immaginazione attiva è quello di abbandonare i costrutti tipici del perfezionismo occidentale, che anela ad integrare all’interno di una visione dell’ io ipertrofico ed arrogante ogni manifestazione del sé, e ad asservirla alle funzioni razionale dell’io pensante.

Se immaginiamo infatti le funzioni della mente come disposte su 4 livelli, visualizzando una figura a croce basata sulla coppia di opposti razionale/irrazionale, vediamo come tra le funzioni RAZIONALI, quelle cioè che hanno lo scopo di porre ordine, dare ragioni, razionalizzare il reale, le due funzioni del pensiero e del sentimento.

Il primo procede ad ordinare per concetti, cerca il significato,la verità, il secondo agisce sui valori, cataloga le cose come buone o cattive, come valide o non valide.

Sull’altra coordinata stanno invece le funzioni IRRAZIONALI, così dette perché non hanno come scopo quello di ordinare la realtà, bensì di assumerla come è, come si presenta, senza attribuirvi significato. Le funzioni irrazionali sono l’intuizione, che coglie le cose nel loro divenire, in ciò che esse potranno essere, e la sensazione, che invece si ferma all’ hic et nunc, cogliendo le cose come immediatezza e attualità.

Nell’immaginazione attiva le dimensioni di razionale e irrazionale, sentimento ed intelletto, intuizione o realismo si fondono e si assimilano.

Si tratta di un vero percorso di AUTOREALIZZAZIONE perché gli opposti che albergano all’interno di noi si autoregolano per affinità e divergenze.

Jung mette in guardia dall’uso indiscriminato di questa tecnica, che egli ritiene accessibile ad un numero limitato di individui

.

E’ necessario in primis avere la predisposizione per affrontare un lavoro lungo e difficile.

In secondo luogo è praticamente impossibile intraprendere questa strada per imitazione, ma è necessario aprirsi sinceramente e consapevolmente alla ricerca del sé, liberandosi prima di ogni condizionamento sociale che ci vorrebbe più o meno simili a modelli precostituiti.

In ultima analisi egli riconduce alla predisposizione all’intuizione, alla cosiddetta intelligenza intuitiva la possibilità di intraprendere tale percorso e mette in guardia da una possibile pericolosissima tendenza al “tecnicismo” che pretende di utilizzare gli strumenti anzidetti senza le dovute premesse necessarie, forzandolo e trasformandolo addirittura in strumento per influenzare le masse ed aumentare il rendimento sociale. La sua profezia si è purtroppo verificata, in molti casi, con il proliferare di metodi di dubbia serietà scientifica basati sul concetto fuorviato della realizzazione del sé, che nascondono invece la volontà opposta e contrastante con quella originale, di uniformare gli individui all’interno di percorsi “auspicabili” e socialmente desiderabili, in nome di una massificazione delle soluzioni che sottende soltanto l’appiattimento delle coscienze.

domenica 20 gennaio 2008

I capuleti e i montecchi: l'odio uccide, separa, annienta, crea dolore e disperazione; l'Amore dona la Vita, unisce, riempie, crea gioia e grazia.

ROMEO E GIULIETTA


L'amore vince il male non odiando ma amando, comprendendo, trasmutando.

Nella scena terza del secondo atto, Shakespeare fa pronunciare a frate Lorenzo le seguenti parole: "sotto la tenera buccia di questo fragile fiore, risiede nello stesso tempo un veleno e una virtu' medica; poiche' se tu l'odori, risveglia in te una gioconda eccitazione di tutto il senso; se tu lo gusti, ti uccide, insieme col cuore, tutti i sensi. Anche nell'animo dell'uomo, come nelle erbe, stanno accampati, in continua guerra fra di loro, due re nemici: la grazia e la volonta' brutale; e la pianta dove la peggiore di queste due potenze trionfa, e' divorata dal verme della morte". In queste poche righe e' tutta intera racchiusa la tragedia di cui ci stiamo occupando. Quanti di noi hanno avuto il coraggio e la forza di scendere nei propri inferi? Quanti, una volta discesi nelle buie caverne della propria anima, hanno incontrato il mostro che tutto divora famelico? E quanti , infine, hanno saputo dire "io sono pure quello"? Parte proprio dalla presa d'atto del proprio male, del proprio "veleno", la volonta' di combattere e di incatenare tale orrendo animale odioso. Una persona che dice di essere spirituale, religiosa, mistica o Dio sa cos'altro, e che non ha preso coscienza del proprio lato oscuro, e' semplicemente un'illusa. Nella Bagavad Gita, Arjuna, quando vede schierate le forze del (proprio) male sul campo di battaglia, sconfortato lascia cadere il suo arco e le sue frecce a terra: non vuole combattere contro i suoi "parenti": Come dire, il male e' una brutta cosa, ma e' pur sempre mio, quindi come faccio a uccidere la mia stessa "carne"? Ed e' proprio cosi': ognuno di noi si "affeziona" al proprio mostro e lo tiene rinchiuso nella caverna, da dove lo lascera' uscire quando l'occasione lo richiedera'. Se la tragedia"Romeo e Giulietta" rappresenta un Albero Cabalistico, e quindi un individuo con i suoi quattro livelli di coscienza, possiamo vedere in essa, per l'appunto, lo scatenersi della lotta all'ultimo sangue fra i due "re nemici", come li chiama frate Lorenzo. Shakespeare, da quell'insuperabile genio che e', riesce talmente bene ad incarnare tale lotta, che quasi ci confonde. Di fatti i due re non sono Capuleti e Montecchi coi rispettivi seguiti, ma: Romeo e Giulietta, l'Amore, da una parte; e Montecchi-Capuleti, l'odio, dall'altra. E tutto questo avviene perche' la coscienza, il Principe di Verona, non sa ben contenere le odiose sbuffate del drago. Osserviamo da vicino i due innamorati. Ognuno, nella propria famiglia, e' ritenuto virtuoso, amabile, buono. Questo ci autorizza a dire che, sebbene saltuari, i tempestivi interventi della Coscienza (il Principe), piano piano hanno fatto nascere nel cuore stesso del male una fiammella d'amore, che e' ancora immatura, ma che potra', se lo si vorra', dissolvere ogni vizio, ogni ombra, ogni mostro. Purtroppo il cuore del male batte per il male, ed ignaro del dolce tepore di questa flebile fiamma, nel momento in cui essa cerca di esternarsi, la soffoca. Ma l'AMORE e' la forza piu' forte d'ogni forza al mondo. Esso tutto vince, perche' tutto" comprende", e la' dove vi e' separazione, unisce, cementa, lega indissolubilmente. Questo formidabile archetipo, quando scaglia la sua freccia, quando cioe' si incarna, si manifesta, deve sacrificare una parte di se' (il suo dardo che non uccide, ma fa ri-nascere). La freccia Giulietta-Romeo, la fiamma d'amor vivo, donera'se stessa al combustibile- male, fino a che questi sara' definitivamente consumato, ed essa con lui: l'amore vince il male non odiando ma amando, comprendendo, trasmutando. Dalle ceneri del male si levera' alta la fenice, pronta a nutrire, col proprio sangue, i suoi piccoli. Anche preso alla lettera, questo capolavoro Shakespeariano conserva immutato il suo messaggio: l'odio uccide, separa, annienta, crea dolore e disperazione; l'Amore dona la Vita, unisce, riempie, crea gioia e grazia. Due parole su Mercuzio. Egli e' amico di Romeo, ma e' anche parente del Principe. Rappresenta, percio', una sorta di luce coscienziale riflessa, opaca, distorta: e' la luna dell'albero che attaraverso l'argentea ed insufficiente sua lanterna, delle cose fa scorgere solo i contorni. Mercuzio e' uno strano poeta, uno strano visionario, un insoddisfatto , che con il suo acume, la sua fantasia e la sua immaginazione, riesce ad illuminare il gruppo dei suoi amici, ma che purtroppo non ha la costanza solare, ne' immobilita' e immutabilita': la luna e' volubile, incostante, cambia continuamente, ed e' insoddisfatta perche' sa di riflettere una luce non sua. Marcuzio e' la causa prima della tragedia, il suo necessario sacrificio scatenera' la grande battaglia. Ma a questo punto, ahime', i conti non mi tornano: come puo' Romeo, il bene, uccidere Tebaldo (cugino di Giulietta)? Cerco di rispondermi cosi': egli non si e' ancora unito alla sua amata, pertanto e' una sola polarita'squilibrata: fresco dell'incontro con Giulietta, il suo complementare, riesce a perdonare il nipote di Capuleti, ma alla vista del sangue di Mercuzio, la sua natura yang, perde il contatto con lo yin, e squilibratamente agisce. Per concludere due parole sulle bellissime musiche di Nino Rota. Esse sono piene di quella commozione che, ricca di altissima poesia, lega lo spettatore alla vicenda e quindi a se stesso, perche' sempre il poeta riesce a penetrare nell'intimo dell'animo umano per fargli sposare la sua poesia che e' anche verita'. Quanto a Zeffirelli, forse ha fatto bene ad alleggerire la tragedia, risparmiandoci le morti della moglie di Montecchi (di crepacuore per l'esilio del figlio Romeo), e di Paride (nobile che il Capuleti aveva destinato a sua figlia Giulietta), per mano di Romeo, nel corso di un duello svoltosi accanto al corpo inerte della sua adorata. Nonostante l'odio, le morti, le sofferenze, alla fine, davanti alla coscienza, l'individuo ha capito che dentro di se' albergano due re, e che il sovrano dell'odio, davanti al sacrificio d'amore, diviene il drago che sacrifichera' se stesso, ponendosi davanti alla caverna del cuore, a guardia del Vello d'oro: l'Amore lo ha addomesticato, e lui lascera' passare solo Amore: l'odio, riconosciuto, sara'investito dal fuoco della sua stessa fiamma: il cuore del puro non puo' ricevere odio, perche' l'Amore scaccia via le tenebre, come in alto, cosi' in basso.