mercoledì 13 febbraio 2008

Crudo e cotto
di Loreto Bettanin Il crudismo è un modo di vita e non ha nulla a che vedere con la new-age e similari, in quanto la storia del crudismo è lunga, ricca di sperimentazione e dati scientifici, ma soprattutto si basa sul vissuto umano; dal punto di vista genetico, la nostra biochimica e fisiologia si sono evolute da una dieta di cibi crudi: tutti i processi di digestione e assorbimento si sono evoluti quando l’uomo primitivo si nutriva di cibi crudi, dalla carne, pesce ai vegetali. L’uomo primitivo sebbene potesse controllare il fuoco, non cucinava gli alimenti (prof. Jordon ), e tutt’ora le popolazioni indigene sulla terra consumano alimenti crudi e per minima parte cotti. Per cercare di comprendere perchè l’uomo ad un certo punto della sua evoluzione sia passato dall’alimentazione crudista alla cottura del cibo, bisognerebbe prendere in considerazione parecchi punti di vista. Uno di questi potrebbe essere la visione anatomo-storico-evolutiva, uno potrebbe far riferimento agli studi paleoantropologici (i forti sconvolgimenti metereologici e geologici, es. le glaciazioni del pleistocene indussero l’uomo a cucinare il cibo per crearsi riserve), altri alla paleobotanica ecc., e tutti questi ci aiuterebbero a capire come l’uomo è arrivato alle “ragioni delle tradizioni”. Tutto ciò richiederebbe una trattazione lunga e complessa e quindi mi soffermerò solo sugli aspetti più evidenti del tema crudismo. Ricordo solamente che in seguito agli sconvolgimenti climatici avvenuti tra 200000 e 120000 anni fa l’uomo ha subito l’adattamento alimentare, in quanto non avendo le caratteristiche anatomofisiologiche del granivoro, nè tantomeno carnivoro ha dovuto ricorrere alla cottura per rendere commestibile il cereale e la carne, in seguito estesa ad altri tipi di alimento. Questa deviazione non è stata dettata da una scelta, ma da uno stato di pura necessità che non offriva alternative. Oggi, non è più la necessità di procacciarsi il cibo, ma le errate abitudini, i pregiudizi dietetici e soprattutto la schiacciante pressione dell’industria alimentare, con i suoi condizionamenti pubblicitari, che portano l’uomo (non più guidato dall’istinto) sempre più lontano dalla strada della corretta alimentazione crudista.
E’ innegabile che cuocere gli alimenti ha permesso all’essere umano di utilizzare cibi che possono essere difficilmente digeribili, oltre all’inattivazione di microrganismi dannosi. I cereali , ad esempio, contengono amidi (carboidrati complessi) che a seguito della parziale demolizione della catena carboidratica, grazie alla temperatura elevata, divengono più velocemente assimilabili, crudi invece richiederebbero un maggior tempo digestivo; il crudista però può ricorrere alla germinazione o alla destrinizzazione in acqua, come dimostrato da Kellog, Langworth e Devel. Possiamo ricordare, inoltre, che della cottura neutralizza l’antitripsina e l’avidina dell’albume dell’uovo; per il resto la cottura è più legata a motivazioni psicologiche, ai profumi, al gusto, alla preparazione del cibo, all’estetica. Gli alimenti cotti si prestano di più a manipolazioni e all’aggiunta di condimenti ricchi o speziati perchè, nel corso della cottura, hanno perso il loro sapore iniziale e sono divenuti insipidi, ma ciò va al di là delle giuste necessità nutrizionali e appartiene al campo di quelle distorsioni del gusto che la civilizzazione ha forzato.
Certo è che la cottura distrugge gran parte delle sostanze enzimatiche (oltre 800), che concorrono ad una buona digestione e ad una corretta assimilazione dei nutrienti; questo accade perché dopo i 50°C gli enzimi (strutture proteiche), che catalizzano le reazioni biochimiche della digestione, vengono distrutti e non possono dunque più aiutare l’organismo nella digestione. Il Dott. Edward Hovell (che molto probabilmente è l’autorità sugli enzimi più competente a livello mondiale) afferma che ogni persona alla nascita ha una dotazione limitata di enzimi; consumando rapidamente la nostra riserva di enzimi, accorciamo la durata della nostra vita, indeboliamo il nostro sistema immunitario e il corpo si ammala facilmente. Il Dott.Howell aggiunge: “L’abitudine di cuocere il cibo e di lavorarlo con additivi chimici, l’uso di alcool, droghe e farmaci e junk food ( cibo di nessun reale o poco valore nutritivo, come patatine, merendine ecc.) consumano una gran quantità di enzimi dalla nostra riserva limitata. Gli enzimi del cibo forniscono molti degli enzimi digestivi che il corpo dovrebbe prelevare dalla sua riserva limitata se si mangiano cibi cotti. Quando si è vissuto per molti anni con cibi cotti, è facile che la riserva di enzimi si sia esaurita. Se ciò avviene il sistema digestivo userà gli enzimi metabolici per assistere la digestione.
Una carenza di enzimi metabolici, che il corpo usa per funzionare, causerà serie malfunzioni di organi, ghiandole, nervi ecc. Quando la carenza di enzimi metabolici diventa grande, il corpo inizia a deteriorarsi. Scaldare cibi oltre i 46°- 49° distrugge tutti gli enzimi (e le vitamine) e forza il corpo a esaurire le sue riserve di enzimi. Questo causa una dilatazione degli organi digestivi, specialmente del pancreas. Cibi e bevande bollenti nuociono agli enzimi nello stomaco. Gli enzimi sono gli ingredienti attivi che curano la malattia, sono il nucleo centrale del sistema immunitario e sono necessari per mantenersi in salute. E’ l’attività enzimatica che fa funzionare il cervello e rende agevole il lavoro meccanico della memoria: è ciò che mantiene in vita il nostro corpo.
Cuocere il cibo porta alla distruzione in alta percentuale delle vitamine contenute nei cibi: ad esempio le vit. A,C,B1, D in quanto termolabili vengono eliminate (vit.C destrutturata a 60°C, gli enzimi già a 50°C); i sali minerali precipitano e divengono meno utilizzabili. E’ innegabile lo svantaggio dovuto a tali modificazioni chimico-fisiche, le quali limitano notevolmente il potere nutritivo dei cibi. Gli alimenti freschi e crudi posseggono un quantitativo di vitalie, quali enzimi, auxoni, fattori del saprofitismo eubiotico ( definizione del prof. Pecchiai), oligoelementi, vitamine e altro, utilissimi ai processi biologici umani, non ultimi i meccanismi di riparazione e difesa dell’organismo indispensabili a contenere lo squilibrio organico e la conseguente malattia. L’organismo riconosce, anche dopo millenni di deviazioni alimentari, gli alimenti vivi (che consentono di mantenere integro il patrimonio di vitalità) da quelli morti. Vedremo successivamente, in modo più approfondito, come la cottura altera i vari nutrienti, rendendo i cibi morti.
Ora invece, per rendersi conto di quanto la cottura possa essere un disagio per l’organismo basta ricordare gli studi venticinquennali di scienziati, quali il dott. Kuschakoff e collaboratori di Losanna, in merito alla “leucocitosi digestiva”, su migliaia di persone e su sè stessi. La leucocitosi postprandiale è quel fenomeno che si evidenzia con un abnorme aumento di leucociti nel plasma (da 5-6 mila per mm3 a 18-20-30mila) dopo un pasto a base di alimenti cotti. Tutto ciò si verifica nell’arco di 30-40 minuti per rientrare dopo circa 2-3 ore. Siccome la funzione principale dei globuli bianchi è la difesa da organismi estranei e patogeni, il verificarsi della leucocitosi digestiva ci aiuta a capire come i cibi cotti siano avvertiti dall’organismo come agenti estranei, simil-tossici, contro i quali l’organismo attiva i consueti meccanismi di difesa. Tale fenomeno assume le caratteristiche simil-leucemiche transitorie e siccome l’abituale nostra alimentazione è prevalentemente cotta, se non stracotta, e si ripete minimo tre volte al giorno, è legittimo ipotizzare che nel tempo ci siano delle conseguenze e alterazioni, come rilevato da Kuschakoff. Il nostro organismo considera innaturale e pericolosa ogni materia vivente sottoposta a radicale trasformazione molecolare, anche quella che avviene con la cottura, in quanto le sostanze cotte subiscono trasformazioni chimiche irreversibili.
Interessante è notare che tutta questa manifestazione leucocitica non si manifesta quando si assumono cibi crudi, in particolare vegetali freschi, e se assunti prima del pasto cotto riescono a limitare la leucocitosi digestiva (proviamo a rifletterci un pò!). Anche il medico italiano Lusignani, dell’Università di Parma, si era occupato dei meccanismi fisiologici che innescano o sospendono la leucocitosi digestiva, dimostrando che queste variazioni leucocitarie sono dovute a meccanismi nervosi centrali e periferici che, regolando il calibro vasale, determinano, attraverso vasocostrizione o vasodilatazione, l’aumento o la diminuizione dei leucociti. Il nostro organismo reagisce con un rilassamento delle pareti vasali ( e una conseguente diminuzione di globuli bianchi o leucopenia) all’introduzione di cibo crudo, non considerato dannoso dall’intelligenza dell’organismo. L’uomo, quindi, sebbene faccia cuocere i propri cibi da alcune decine di migliaia di anni (ma per milioni di anni è stato crudista) non ha sviluppato alcun adattamento anatomofisiologico al cibo cotto; infatti gli alimenti cotti continuano ad essere rifiutati dall’organismo mediante l’azione di rigetto della leucocitosi postprandiale. L’uomo è l’unico animale che sottoponga a cottura i propri cibi, depauperando così il suo capitale energetico (la leucocitosi richiede un elevato dispendio di vitalità) e obbligando il corpo ad un doppio sforzo per trasformare in materia vivente ciò che lui stesso ha distrutto attraverso l’elevata temperatura. Contravvenendo agli istinti alimentari biologicamente connaturati, l’uomo ha dato così inizio a stati di degradazione e degenerazione fisica e psichica, i cui effetti sono, oggi più che mai, evidenti.
Anche le ricerche condotte da ricercatori quali Pottener, Mac Carrison, Stinner, su vari gruppi di animali (ratti, cani, gatti, scimmie) nutriti da alcuni mesi ad un anno, solo con cibi crudi o solo con cibi cotti, hanno evidenziato che quelli alimentati con cibo cotto mostravano chiari segni di decadimento fisico progressivo con molte manifestazioni patologiche (gengiviti, anemie, carie, tumefazioni tumorali, ulcere, alterazioni cardiache, polmonari e renali). L’evidenza peggiore è che tali degenerazioni si sono tramandate anche alle generazioni successive. Tutto ciò non si è manifestato con gli animali nutriti con crudità. Il ritorno da parte delle cavie malate ad una alimentazione crudivora ha evidenziato anche una progressiva diminuizione dei disturbi manifestati, ma sono occorse quattro generazioni perchè gli animali riacquistassero la salute originaria. Qualcuno potrebbe obiettare che gli animali hanno un biochimismo diverso dagli essere umani, ma i dati invitano la “ragione” ad usare prudenza nell’abbondare con i cibi cotti. Se poi ricordiamo che un pasto cotto richiede una più lunga e laboriosa digestione, mentre i cibi crudi transitano velocemente lungo l’apparato gastrenterico, allora ancora una volta la “ragione” ci invita a consumare sempre prima i cibi crudi in modo da evitare dannose e inutili fermentazioni anomale e putrefazioni, dovute al lungo sostare degli alimenti cotti nei primi tratti digestivi. Non andrebbe sottovalutato e trascurato nemmeno il vantaggio che gli alimenti crudi hanno in merito alla loro consistenza: i cibi cotti in genere sono molli, pastosi e non richiedono grande impegno masticatorio e ritardano i processi digestivi, perchè più difficilmente scissi dalle secrezioni gastroenteriche, pertanto sfavoriscono gli organi masticatori; il crudo invece, più duro, ha una sua azione massaggiatrice a livello gengivale, molto utile a prevenire carie e parodontopatie.

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